lunedì 10 maggio 2010

0-20 5'' (da zero a venti in cinque secondi)

Ore 11.30 di venerdì 7 maggio, dichiaro ad una amica, in tutta onestà e sicurezza, che questo we starò a casa.
Ore 12.06 mi arriva una mail di convocazione per una regata di Intercircoli, non sono ancora le 12.07 che sono già con la testa al mare.
In effetti non ho detto alcuna falsità, questo we sarò a casa, dipende dal concetto di casa. L'abbraccio più familiare ormai è quello del vento. E le patologie danno mal di terra in decisa superiorità sul mal di mare, umore di ritorno decisamente peggiore di quello di partenza.

Sabato mattina un equipaggio di nuova mistura si prepara all'uscita di allenamento. Nuvolo è nuvolo, una quindicina di nodi di vento, ma potrebbe anche andar peggio, invece non piove. Anzi fa capolino anche qualche raggio di sole.
E via, su e giu' tra campo Charlie e diga foranea, bolina poggio spi strambate. E nonostante un po' di forza latiti, riusciamo a giocare le nostre carte e far capire al vento che la vogliamo vinta noi. Rivedere quello spi rosso, su verso il cielo, tondo come una ciliegia fa venir l'acquolina in bocca. Certo che rosse sono anche le nostre gote, un po' di stanchezza arriva.
Ci accoglie la marina vestita a gran festa, musica, ferrari e arredi sciccosi.
Noi usciamo dalla cerata, ci rinfreschiamo e usciamo dalla festa. Verso Pegli un buon piatto di pasta carne pizza (non ci siamo fatti mancare nulla) ci ristora ad un tavolo di legno. Io ondeggio paurosamente, scricchiolo, senza nemmeno aver bevuto un goccio.
Crollo nella cabina di prua riservatami. La notte porta scrosci d'acqua degni di una cascata alpina; nel rigirarmi penso "potrebbe andar peggio, potrebbe piovere in regata". E dormo.
L'umidità salata e dolce sveglia le nostre ossa prima dei sensi razionali. Non è che proprio sia un saltar giù dalle brande vivace, diciamo che ci stiracchiamo, ci vestiamo a strati e ci rifocilliamo con un the caldo per colazione. Credevamo fosse regata di Intercircoli, in realtà siamo tornati all'Invernale.
Molliamo gli ormeggi e fuori dalla diga ci ritroviamo con un po' (un po' tanta) d'onda, incrociata e nervosa. Randa e motore e arriviamo al campo di regate. Vento poco, direi nullo. Leggero, peso sottovento. Si posticipa la procedura di partenza, ciondoliamo un po'. Intelligenza su, intelligenza giù. Si parte un po' di rincorsa, ancora un po' a spinta, quel filo di vento ci fa penare un po'.
Pensiamo "dai su, arriviamo in boa che poi mettiamo spi e vediamo di farla muovere un po' 'sta barca".
Piove, piove e arriva onda, dalla falchetta di sicuro sai che prendi acqua in faccia.
Su il tangone, boa in vista.
Pronti a issare spi, braccio e scotta pronti sui winch e... 22 nodi!
Lo spi torna nel sacco, cambiamo vela di prua, da leggero a olimpico, traversone e siamo già in boa. Planiamo sull'onda, 8.5 nodi e il capitano si diverte. Il randista soffre, il resto dell'equipaggio sta in falchetta a prendere onde. Terzi in boa. Planiamo al porto. Si riparte. Mi addormento in macchina.
Si torna a casa, ma c'è qualcosa di me che è restato in un'onda: una lacrimuccia. Ma ondeggio, mal di terra. Sorrido.

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