domenica 23 maggio 2010

una campana sul mare

Una campana suona e la sveglia è luce dal mare, dalla finestra si vedono alberi, alberi che aspettano di fiorire di vele.
In tavola ci aspettano il pane tagliato a fette larghe, il latte caldo, i fiori colti nel prato, i sorrisi stropicciati e ogni giorno piu' assolati; poi la lavagna e i gessi colorati, le andature e le manovre, la vestizione prima di imbarcarsi; la flotta dei barchini che attende, le vele da armare. Ogni giorno i gesti sono piu' familiari, l'inventario con nomi all'inzio impronunciabili: bastingaggio di sinistra, li ci troveremo i barber e le scotte dello spi; inferiture e balumine, si armano borose, le gasse da fare.
Le ore in mare passano con le termiche che ci fanno giocare con le andature, tra Palmaria e il Tino star dietro al girare del vento è esercizio virtuoso; la bussola da rilevamento da provare, i gavitelli e i parabordi a mare, l'ancora da appennellare; il fiocco che non è mai a segno, la randa da cazzare, gli occhi strizzati verso il sole, lo spi da assecondare come un bambino capriccioso.
Torniamo a un gavitello arancione e ad una trappa incrostata di mare, l'accoglierci della banchina, la base lassù con la sua campana, la lezione di piegatura vele, il capitombolo della giornata, il livido in più che fa pandane con la magliettina nuova.
Il tramonto al vermentino saluta la quiete ritrovata, i salatini sembrano insipidi alle labbra piene di salsedine; una campana chiama a tavola, la stanchezza non è abbastanza per frenare l'appettito, i piatti si riempiono di squisite pietanze, un brindisi al cuoco e il tintinnare di bicchieri, una teglia da lavare, i piatti da asciugare.
Si fa il punto della situazione, si crolla in branda all'ora dell'aperitivo milanese, segnavento colorano la bolina dei sogni.

lunedì 10 maggio 2010

0-20 5'' (da zero a venti in cinque secondi)

Ore 11.30 di venerdì 7 maggio, dichiaro ad una amica, in tutta onestà e sicurezza, che questo we starò a casa.
Ore 12.06 mi arriva una mail di convocazione per una regata di Intercircoli, non sono ancora le 12.07 che sono già con la testa al mare.
In effetti non ho detto alcuna falsità, questo we sarò a casa, dipende dal concetto di casa. L'abbraccio più familiare ormai è quello del vento. E le patologie danno mal di terra in decisa superiorità sul mal di mare, umore di ritorno decisamente peggiore di quello di partenza.

Sabato mattina un equipaggio di nuova mistura si prepara all'uscita di allenamento. Nuvolo è nuvolo, una quindicina di nodi di vento, ma potrebbe anche andar peggio, invece non piove. Anzi fa capolino anche qualche raggio di sole.
E via, su e giu' tra campo Charlie e diga foranea, bolina poggio spi strambate. E nonostante un po' di forza latiti, riusciamo a giocare le nostre carte e far capire al vento che la vogliamo vinta noi. Rivedere quello spi rosso, su verso il cielo, tondo come una ciliegia fa venir l'acquolina in bocca. Certo che rosse sono anche le nostre gote, un po' di stanchezza arriva.
Ci accoglie la marina vestita a gran festa, musica, ferrari e arredi sciccosi.
Noi usciamo dalla cerata, ci rinfreschiamo e usciamo dalla festa. Verso Pegli un buon piatto di pasta carne pizza (non ci siamo fatti mancare nulla) ci ristora ad un tavolo di legno. Io ondeggio paurosamente, scricchiolo, senza nemmeno aver bevuto un goccio.
Crollo nella cabina di prua riservatami. La notte porta scrosci d'acqua degni di una cascata alpina; nel rigirarmi penso "potrebbe andar peggio, potrebbe piovere in regata". E dormo.
L'umidità salata e dolce sveglia le nostre ossa prima dei sensi razionali. Non è che proprio sia un saltar giù dalle brande vivace, diciamo che ci stiracchiamo, ci vestiamo a strati e ci rifocilliamo con un the caldo per colazione. Credevamo fosse regata di Intercircoli, in realtà siamo tornati all'Invernale.
Molliamo gli ormeggi e fuori dalla diga ci ritroviamo con un po' (un po' tanta) d'onda, incrociata e nervosa. Randa e motore e arriviamo al campo di regate. Vento poco, direi nullo. Leggero, peso sottovento. Si posticipa la procedura di partenza, ciondoliamo un po'. Intelligenza su, intelligenza giù. Si parte un po' di rincorsa, ancora un po' a spinta, quel filo di vento ci fa penare un po'.
Pensiamo "dai su, arriviamo in boa che poi mettiamo spi e vediamo di farla muovere un po' 'sta barca".
Piove, piove e arriva onda, dalla falchetta di sicuro sai che prendi acqua in faccia.
Su il tangone, boa in vista.
Pronti a issare spi, braccio e scotta pronti sui winch e... 22 nodi!
Lo spi torna nel sacco, cambiamo vela di prua, da leggero a olimpico, traversone e siamo già in boa. Planiamo sull'onda, 8.5 nodi e il capitano si diverte. Il randista soffre, il resto dell'equipaggio sta in falchetta a prendere onde. Terzi in boa. Planiamo al porto. Si riparte. Mi addormento in macchina.
Si torna a casa, ma c'è qualcosa di me che è restato in un'onda: una lacrimuccia. Ma ondeggio, mal di terra. Sorrido.

martedì 4 maggio 2010

L'E...VENTO

Quando si parte per un "evento" come il Trofeo Pirelli si è carichi di aspettative: che ci siano sole e vento, che l'equipaggio sia perfetto, di essere in boa tra i primi, di essere bellissime alla serata di festa a Portofino. Poi succede che non tutto va come da catalogo, ma di tornare comunque pieni di gioia, con il sorriso salato tra le gote abbronzate e i capelli e i pensieri ancora scompigliati, memori del vento.
Ci sono mille cose, sorrisi, battute, immagini che non vorrei dimenticare, che mi sono passate davanti nei sogni scossi un po' dal mal di terra che ancora mi accompagna.
Così, guardando le foto, percepisco i muscoli indolenziti, la delusione per una boa non raggiunta, il sole che ci abbronza come panda, l'abbraccio ad un arrivo.
Perché prima dell'evento ci sono le persone, i cuori e i muscoli tesi, l'allegria di un nuovo equipaggio, una mano tesa per saltare a terra.
Prima del tendone c'è una barca ormeggiata che chiama persone a farla correre, vento che ingolosisce, un molo pieno di persone che fremono, ma le "tue", quelle con quella Mùzyka dentro, le riconosceresti tra cento.
Ci sono nasi all'insù a guardare in cima ad un albero, la penna di quella randa che vorresti spremere; ci sono scotte che si scalzano, che fremono tra le mani, quella vela di prua che si ribella, sbatte, si accavalla alle draglie, e si stende, governata come un cavallo al galoppo dalle briglie nervose.
L'evento sono le docce a turno e un paio di scarpe con il tacco che rendono femminilità alle donne del gruppo, una macchina che ci riporta in albergo dopo una serata tra buffet e qualche ballo, dos calvados e le trofie, un cappellino regalato ad un venditore di rose.
Ci sono cene e colazioni, "mizzega channel", foto e velieri, scivolate e lividi, fiatone e una scritta argentata su una maglietta, ago e filo a riparare una scotta.
I 5 minuti alla partenza, il cuore che batte come un dannato, gli sguardi che corrono da una parte all'altra, l'adrenalina che pompa, sono un'avventura fantastica.
La linea dell'orizzonte che si riempie di vele, gli spi colorati, i movimenti concitati, una vela da ammainare.
E' sera e mi ritrovo in barca con il motore che pian piano ci riporta a Genova, i nuvoloni neri che ci sovrastano, un po' di malinconia mentre guardo l'orizzonte e respiro il mare.
Chiudete gli occhi per un attimo, so che sorriderete, per un attimo saremo ancora tutti in pozzetto, sapore di focaccia evocato.
A presto !