giovedì 2 agosto 2012

Diario di cambusa

Martedì mattina. Ore 7.45. Bici. Nuvoletta grigia appesa sopra di me, come un palloncino legato con il filo al mio polso (certo, prima volta che vengo in bici) e questo mi ricorda qualcosa.
Colazione alle macchinette del punto ristoro del lavoro. Sospiro
Cerco il retrogusto di ricotta nei biscottini da 65 cent e non lo trovo. Cerco l’orizzonte isolano e non lo trovo. Cazzo.
Dondolo, in realtà è già passato anche il mal di terra, ma provo a dondolarmi sulle gambe per tentare di risalire la bolina della giornata.
Vabbè. Nostalgia canaglia si direbbe..
Reduci da una settimana di mare, vento, nuvolette e ricotte, acciughe e tonni, regioni miste in mare siculo. Ecco. Nostalgia.
Sabato scorso, appena atterrati a Catania e lesti come falchi ci siamo avventati su cannoli e arancine. Poi Milazzo, pasta alla norma sotto un sole impietoso anche all’ombra, aliscafo e Lipari. Spesa, conoscenza del capitano e del collega di bordo, presi cappellini di ordinanza.
Cena al pescecane, mangio quanto uno squaletto tra polipo e caponata. Cannolo, granita, (la more e gelsi non saprò quanto sia buona, anche altre cose non saprò).
Domenica mattina la giornata inizia in pasticceria, granita con la panna, brioche, cassatina al pistacchio. Segue salpare e dirigere verso pomice. Si annuncia vento da sud ovest. Programmi della settimana che si sparpagliano nella flottiglia come le notizie meteo non concordanti. Di certo un temporale ci aspetta. E li ci trova, in piena notte davanti alla vecchia cava abbandonata. Lampi, fulmini e notte spettrale. Si balla.
La mattina dopo un po’ stropicciati decidiamo per Salina. Sarà che li c’è Alfredo che prepara il miglior pane cunzato delle Eolie. Quindi li si va. Pane talmente ricco che a mezzo è troppo, e granita, con panna; vento freddo sulle braccia ma non passa l’appetito. Dall’attracco della nave ci spostiamo al rifornimento come in pole per il pit stop. E ci va bene. Colazione cornetto alla ricotta e granita. Qualche acquisto turistico. Si risalpa alla volta di Vulcano. Mi preparo all’idea di salire appena dal mare vedo il fumo dal cratere, mentre mi incollo al timone in una bella bolina filata, quanto mi mancava!
Spiaggia nera, passeggiata fino a scoprire un negozio scultura, con gatti e ceramiche e gioielli forgiati da fuoco e acqua. Cena in barca, tonno cucinato dal capitano, immancabili pomodorini. Ritorniamo al negozio e torniamo passeggeri ospiti con un pacco pesante sotto la pioggia. Quella ceramica mi guarda ora dalla parete blu di casa e mi coccola al pensiero del mare.
Mattina camminiamo di nuovo fino al paese (e qui mi rendo conto che abbiamo fatto quasi più km a piedi che miglia in barca) per colazione. Abbandoniamo i soci davanti alla immancabile granita, noi saliamo prima che venga caldo. E infatti caldo non fa, direi piuttosto un po’ umido, dato che prendiamo il biglietto “con acqua” e di acqua ne scende parecchia. Mentre penso “anidride solforosa e solforica+acqua = acido solforoso e acido solforico” decido di non appoggiare la mano alla roccia. Però il cratere, il fumo, le nubi che corrono veloci e un incontro toscano pieno di simpatia rendono unica l’esperienza, quanto la vista meravigliosa che ci si dona appena il sole riappare.
Arriviamo zuppi e affamati (strano eh?) e sistemiamo almeno uno dei problemi con un trancio di pizza. Sosta al negozio scultura per un anello nato da cera e fuoco. Pranzo di acciughe panate del capitano e pomodorini. E pesche e albicocche, sesamini croccanti. Prendiamo il mare. Io pisolo coccolata dal sole non troppo caldo.
E dirigiamo a Panarea. Spiaggiamo con il gommone, cappellino di paglia in testa, macchina fotografica a fissare gli scorci e il bianco delle case. Piante grasse, giare e otri sui tetti. Viuzze e sintomi di vita notturna ancora non sveglia. Aperitivo guardando dalla terrazza del Raya sbuffi infuocati di Stromboli. Ci voglio andare lassù, vedere il fuoco e la lava da vicino. Saprò la fatica, non il fuoco.
Cena e ci ritroviamo accoccolati e assonnati in pozzetto, saltiamo i sesamini dell’invito, crolliamo in un sonno cullato. L’indomani in prua abbiamo Stromboli, guardato, citato e voluto ogni giorno lottando contro il vento ostinato e annunciato contrario. Calcoliamo i tempi. Pranzo di insalata e salmone, poi mi renderò conto che mi mancava la pasta. Bagno non bagno causa meduse. Ci avviciniamo lesti. Vela e motore, 8 nodi. “Iddu” è li, cielo blu cobalto, mi dico “diamine fino lassù”, ma si ci andiamo.
Sbarchiamo, compriamo un po’ di frutta, ci danno il caschetto, la mascherina, prendiamo scarponi e calze e comincio a pensare che si ci voglio andare, ma sono 900m, ma sono 12 km, ma sono ore di cammino.
Ma siamo li in fila. Baldanzosa cerco il passo. Cadenzo salgo, barcollo, calano gli zuccheri (la pasta, sigh), banana, albicocca, biscotto. Saliamo. Barcollo, ci mancava il mal di terra. Mi pare di essere quasi su ma il cartello altimetrico dei 400m mi distrugge. Punto i piedi e dico no. Però poi su, la vetta è li diritta, non c’è nemmeno la curva. Dal cannetto alla roccia, poi lava spaccata, pirosseni da cercare (e Davide li trova). Io cerco di respirare. Cenere sotto i piedi, sabbione. Un passo avanti e scivoli indietro di due. Le gambe pesano, le guance sono infuocate. Poi si arriva in cima. Nuvola. Si fa buio. Ci si copre di cerate e polvere. Un borbottio, un tuono. Nessuna luce, nessun panorama. Nebbia che riflette la luce della frontale. Mangiamo salatini e frutta mentre l’umido si insinua. Odore di zolfo. Frontale in mano, caschetto, mascherina. Giù. -400 m in 20 minuti. Poi pietra e canneto. E’ tardi quando il paese bianco riaccoglie gli occhi fumosi e scarponi polverosi. Una stella cadente in anticipo è però in ritardo sul desiderio vulcanico. Pizza. A bordo si incrociano i racconti di chi anche dalla barca davanti alla Sciara di fuoco ha visto poco. Ma poco è più di niente. Evito di chiedere di vedere le foto. Mattina, mal di gambe, cappellini in testa. Compro come trofeo la maglietta con IDDU, poi mi consolo un po’ con una granita. La nuvola in cima è ancora la. Vorrei salire di corsa a insultarla. Ma resto sulla terrazza vista mare assaporando l’ennesimo cornetto alla ricotta. Aiuta l’umore, si insinua già la nostalgia da ultimo giorno.
Lipari ci aspetta. Passiamo a pomice, un bagno. Le meduse si lasciano portare e le evitiamo. Il vento anomalo delle eolie contraria il rientro e vorrei farmi portare in direzione opposta. Nell’ora che volge al desio e che ai naviganti intenerisce il cuore siamo al molo. Ultimi acquisti. Una cavigliera, capperi, un quadretto con vulcano. Cena. Granita e bombolone alla ricotta (spettacolare). Ne prendiamo un paio per la colazione di partenza dell’indomani. Si dorme, caldo che il vento non riesce ad entrare in cabina. E’ presto quando mordo la ricotta e cerco di stamparmi il sapore nel cuore. Guardo il cielo sempre più azzurro. Come le nostre magliette. Saluti e borsoni. Aliscafo. Autobus raggiunti dal socio. Nella cappelliera un cappello bianco, uno beige, uno nero. Noi dormiamo. Aeroporto. Ultimo arancino. Ultimo cannolo. Si torna e barcollo.
Chiara

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